LETTERA DEL PROF. GIUSEPPE RANDO A SALVATORE CUZZOCREA, NEO RETTORE DELL’UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MESSINA
Il prof. Giuseppe Rando.Ricevo e pubblico con piacere: |
Illustre Professore, data la diversità dei nostri ambiti di ricerca e data soprattutto l’enorme differenza d’età che purtroppo ci separa, non ci siamo mai incontrati, ma non ho difficoltà alcuna ad indirizzarle i miei migliori auguri, insieme con i miei sinceri complimenti per la sua splendida carriera: non si raggiungono facilmente, alla sua età, i traguardi che lei ha raggiunto; c’è da bene sperare per l’Istituzione.Con la stessa franchezza, guardandomi dal formalismo che spesso connota il nostro mondo (non solo a Messina), rispondo all’invito che lei ha rivolto in una lettera circolare ai professori dell’Ateneo, subito dopo la sua elezione, proprio per dare il mio modesto contributo, da lei democraticamente richiesto, alla migliore riuscita della sua attività rettorale, che – c’è da scommettere - sarà comunque ragguardevole, a prescindere dal mio contributo. Quanto sto per dirle è nutrito della mia esperienza diretta di studente, assistente, professore associato e professore ordinario messinese, proveniente da una famiglia di pescatori e marinai dello Stretto – dalla barche del Faro, in altri termini –, che ha quindi conosciuto l’Università da un angolo visuale insolito (non quello del cosiddetto potere), ma ugualmente degno di considerazione.Stando da questa parte, ho potuto vedere più nettamente i contorni delle cose, avvertire, più da vicino, le aspettative della cittadinanza in ordine alla formazione dei laureati e la delusione crescente nei confronti di una Struttura – la nostra – che è stata gloriosa e che ora appare a molti non del tutto idonea (nonostante qualche recentissimo, relativo miglioramento) a far fronte alle esigenze di una società avanzata: non sono pochi, purtroppo, i messinesi, più o meno benestanti, che preferiscono per i figli costosi-gravosi studi universitari fuori sede, nella convinzione che propizino un più agevole ingresso dei figli nel mondo del lavoro.E proprio da qui prendo l’abbrivo per il mio primo, modesto contributo: credo che si debba insistere, senza deflettere minimamente, sulla strada (già avviata dal rettorato Navarra) del confronto con la società e col territorio all’insegna della trasparenza e della meritocrazia, liberando, finalmente, l’Università di Messina da ogni arcaica tendenza all’autoreferenzialità, alla mitizzazione acritica delle sue strutture, alla pomposità-separatezza degli “ermellini” (a cui i messinesi guardano oramai con disincanto misto ad ironia): l’Università non è il Mondo e non deve essere - se mai lo è stata - un sottomondo, regolato da convenzioni corporativistiche, settoriali, che rischiano di diventare omertose, se non cieche e accecanti, di fronte alla prassi – mai troppo deprecata – dei privilegi individuali di certi “baroni” e del disinteresse effettivo degli stessi verso i compiti istituzionali della ricerca scientifica e della formazione professionale degli studenti.Non sono, invero, il solo ad essere convinto, ma lo sono fermamente, tanto quanto lei, che l’Università cresce sul piano della ricerca e della didattica in maniera direttamente proporzionale alla crescita della meritocrazia tra le sue mura e alla decrescita della corruzione. Tanto che, parafrasando quel vecchio slogan, si potrebbe tranquillamente asserire: «Università corrotta, Università inetta (e nazione infetta)».Epperò ritengo, egregio Rettore, che bisogna risolutamente rifiutare, una volta per tutte, il costume dell’accomodamento, della litote, dell’eufemismo, del detto-non detto, della reticenza e/o del silenzio accademico: gli studenti, il personale docente e non docente, la popolazione, i partiti politici, i sindacati devono essere costantemente informati sullo stato obiettivo delle cose, sui meriti oggettivi acquisiti, sui demeriti degli inetti e dei corrotti, sui progetti avviati per contrastare ogni possibile deviazione dalla retta via della didattica aggiornata e della ricerca scientifica produttiva. Magari prendendo il testimone offerto dal Rettore Navarra, il quale, in un intervento pubblicato l’anno scorso, rilevava onestamente che l’Università di Messina è cresciuta negli ultimi anni, ma resta agli ultimi posti nella valutazione della qualità della ricerca.E mi lasci sperare, illustre Professore, che i giovani studiosi, chiaramente portati alla ricerca, non si vedano più bloccate le vie d’accesso alla docenza universitaria e che non si frappongono più ostacoli “artificiali” alla normale progressione nella carriera di docenti accreditati delle prime due fasce.Certo, a lei non sfugge che quello dell’accesso all’insegnamento universitario è uno dei più grossi nodi da sciogliere per consentire all’Università italiana di accostarsi ai livelli di eccellenza dei più avanzati paesi europei. Si tratta, ovviamente, di un problema che deve essere affrontato e risolto dalle forze politiche nelle sedi e nei modi opportuni. E, a tale fine, la riduzione o quantomeno la regolamentazione dell’autonomia dei Dipartimenti, spesso diventati corpi separati dello Stato, sembra viepiù necessaria. Ma in attesa della riforma, s’impone un plus di vigilanza degli organi accademici a ciò preposti sui comportamenti di singoli “baroni” che interpretano talora l’autonomia come un lasciapassare per scorrerie familiari, “sentimentali”, comunque privatistiche, sul terreno dei concorsi e della gestione degli insegnamenti e delle cattedre. Per uscire dal generico, mi permetto di evidenziare, in questo ambito, il caso degli studiosi dichiarati idonei all’insegnamento universitario e non assunti. Sintetizzando: si caricano di plurisupplenze annuali eserciti di ricercatori (costretti a insegnare anche quello che non sanno e a non fare quello per cui sono pagati, cioè la ricerca scientifica) o si coprono, per risparmiare(!), insegnamenti di materie fondamentali rimasti vacanti con operazioni di maquillage accademico (quali il cambio da un settore disciplinare “parziale” a uno “”generale”), mentre manipoli di studiosi che hanno superato un difficile esame di idoneità e che arricchirebbero, con la loro scienza acclarata, l’Università e gli studenti, sono costretti a fare i professori in scuole secondarie di provincia o – peggio – i camerieri in Olanda. Non sono il solo, in verità, a condurre, da alcun tempo, da questo avamposto provinciale, questa battaglia (me ne guarderei), a favore degli idonei non assunti e contro le logiche clientelari ecc. che ne ostacolano le carriere. Com’è noto, si è addirittura costituito l’Osservatorio Indipendente Concorsi Universitari, posizionato in un portale aperto nel social media Academia.edu, molto utilizzato nel mondo della ricerca, che intende, democraticamente e riformisticamente, «rendere noti - cito - i concorsi banditi per dare pubblicità a ciò che è già pubblico, con l’obiettivo finale di cambiare la legge sui concorsi stessi», manifestando, nel contempo, «grande insoddisfazione […] per l’irrisolta questione degli abilitati che non vengono poi chiamati dalle Università e vanno ad affollare la platea degli idonei non assunti» [il corsivo è mio].Mi fermo, per non tediarla, caro Rettore, e per non apparirle pretenzioso. Si è che amo troppo la nostra bellissima professione («semel magister semper magister») e continuo a considerare mio dovere di cittadino e d’intellettuale democratico (di sinistra) denunciare i difetti del sistema e formulare proposte costruttive in un’ottica di miglioramento: con la sola autorità, ovviamente, di chi ha avuto la fortuna di trasmettere, per più di trent’anni, saperi e valori (s’insegna quello che si è) a migliaia di studenti dello «scill’e cariddi» e di avere notevolmente contribuito con saggi «innovativi» (secondo Petronio, Di Benedetto, Anglani, De Luca) a rivoluzionare gli studi alfieriani (quantomeno), seguendo cento maestri cartacei, ma restando sempre lontano dalle pompe e dalle logiche del potere.
Con stima e rispetto
Prof. Giuseppe Rando,Ordinario di Letteratura Italiana (già presso l’Università di Messina).
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