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IL RITORNO - Racconto breve di Antonio Cattino

Alberto Sughi (1928-2012) - " uomo con valigia" - dal web

Il treno si fermò alla stazione, accolto dal rauco cantilenare degli altoparlanti che ne annunciavano l’arrivo. I primi passeggeri scesero in fretta, altri, oberati da trolley e valigie, più lentamente, mentre leggere folate di scirocco avvolgevano, col loro umido tepore, i già accaldati viaggiatori che, madidi di sudore, affrontavano il non breve percorso verso l’uscita. 
Giuseppe stette un poco a guardare dal finestrino il marciapiedi affollato, poi, prendendo coraggio, si affrettò a scendere dal vagone. Quando fu sul marciapiedi si guardò intorno, allungò lo sguardo alla ricerca di un facchino per le sue tre valigie e nel fare ciò notò che la stazione era uguale a quella da cui tanti anni addietro era partito: avvertì quella familiarità dei posti già vissuti, come se la sua città ricominciasse a parlargli e, avendolo riconosciuto, lo stesse salutando. Lui non era atteso da nessuno e, osservando i calorosi abbracci di benvenuto con cui venivano accolti tanti dei viaggiatori sbarcati dal treno, si sentì per un attimo pervaso da un languido velo di tristezza che però svanì alla vista di un facchino che spingeva un carrello vuoto e che vedendolo fermo con tre valigie accanto, si offrì per trasportarle all’uscita.  Giuseppe era, ora, alla fermata dei taxi dove l’aveva accompagnato il facchino e si sentiva un poco spaesato, privo di quei punti di riferimento visivi che aveva lasciato in Piazza della Stazione a Milano, ma lentamente gli venivano incontro altri riferimenti che man mano, col gioco dei ricordi, gli si ricomponevano alla vista: il bar all’angolo, la stazione dei pullman, la villetta di fronte, la fontana che gioiosamente zampillava in alto, al centro della piazza, e che, al respiro ventoso dello scirocco, deviava gli zampilli fuori dalla vasca, bagnando i passanti. Si, chiaramente, era la sua città che aveva lasciato trent’anni prima. Giuseppe aveva deciso di ritornare per riprendere i fili della sua vita che a Milano si erano spezzati, per il divorzio, prima, e dopo per gli effetti della crisi economica, che aveva messo in ginocchio gran parte dell’apparato produttivo, fra cui la sua fabbrica. Ora, avendo scelto il prepensionamento all’alternativa dell’inattività assistita della mobilità lunga, Giuseppe decideva di stabilirsi nella sua città natale, dove, avendo a disposizione la casa ereditata dai genitori, avrebbe potuto vivere dignitosamente con l’assegno di pensione che gli era stato riconosciuto.
                                     
Dal taxi che lo conduceva all’abitazione, in un quartiere semicentrale della città, Giuseppe osservava lo scorrere delle persone sui marciapiedi: notò quindi che erano vestiti come a Milano, specie i giovani, uniformati alle mode veicolate dalla pubblicità, fatto, questo, che aveva contagiato anche gli adulti che vestivano meno formalmente che al tempo della sua partenza.

Facendo questi pensieri, si sentì rincuorato, come se il modo di vestire della maggior parte delle persone  fosse un elemento che non gli avesse reciso nettamente il legame con la realtà milanese che aveva vissuto fino al giorno prima. «Potenza della civiltà dei consumi!» - pensò.
Giuseppe quindi fu attratto da una copia del quotidiano locale, adagiata sul sedile; aprì il giornale e si soffermò sulla cronaca cittadina leggendo un titolo che parlava di una donna che aveva ottenuto il divorzio, uccisa poi dall’ ex marito in un eccesso di gelosia. Giuseppe rivolgendosi al tassista, a cui aveva mostrato l’articolo, e che intanto si era fermato sotto la casa dei suoi genitori, disse : «Certo che ci sono tanti uomini che intendono il rapporto tra uomo e donna come un fatto di possesso e non è solo un fatto che interessa il Sud: anche a Milano ogni giorno dobbiamo leggere sulla stampa fatti di violenza contro le donne, commessi da compagni ed ex compagni, e che sempre più spesso  sfociano nelle uccisioni delle donne, vittime di persecuzioni e violenze. » Poi porse all’autista un biglietto da dieci Euro per il pagamento della corsa e quello, annuendo con un eloquente gesto del capo ed aiutandolo a sistemare i bagagli nel portone di casa gli rispose:   «Veda, caro signore, tutto il mondo è paese e sono d’accordo con lei che uccidere una donna che cerca di affermare la propria libertà di scelta, non può essere considerato un atto d’amore: l’amore è un’altra cosa. »
Dopo che fu entrato in casa, Giuseppe si sentì risucchiato nella dimensione di chi deve riprendere un percorso di vita che aveva interrotto trent’anni prima, con tutte le incognite che questa condizione ha in sé. Il suo animo era quindi sballottato tra presentimenti e pensieri di fiducia e naturali timori per le incognite del futuro. Prendendo la decisione di lasciare Milano e ritornare nella città natale, Giuseppe aveva pensato di trascorrere una vita tranquilla, priva di preoccupazioni importanti con quanto sarebbe bastato per ricominciare a guardarsi intorno e con un minimo di fiducia nel futuro.

Ma Giuseppe non aveva calcolato un elemento importante, presente in tutti i ritorni: che il futuro e, se non immediatamente, il presente, è figlio legittimo del passato  e che, in qualunque nostra Itaca noi pensiamo di approdare, vi sarà sempre un passato che ritorna, silente, rannicchiato tra le pieghe della coscienza e  che  al momento per lui più opportuno, uscirà fuori per correggere ed conformare la nostra esistenza. Il passato riconosce i suoi luoghi, riprende forma nelle stanze e nei visi conosciuti. Il passato rinverdisce i ricordi, ripercorre le nostre omissioni e dimenticanze, colmando gli spazi vuoti della memoria, fa tanti prodigi e spesso si prende gioco di noi, delle nostre aspettative, dei nostri progetti di vita.                                           

Giuseppe, a dire il vero, abituatosi a Milano a meditare a lungo sui progetti di lavoro, col trascorrere dei giorni, nella ritrovata sua città, con il susseguirsi degli incontri e con le sue lunghe discussioni da rentrant, seduto al bar centrale, con i vecchi amici e conoscenti, cominciò a formare in sé un abbozzo di questa verità: tanti elementi cominciavano a riaffiorare, ma l’intero paradigma ancora non gli si fissava in mente. Egli cercava, in quei giorni, i magici appigli del passato, della sua gioventù, per costruire un suo futuro, guidato dai sensi e dalla speranza. La disponibilità, il sorprendersi per un incontro, il rivisitare nel presente i luoghi del passato, lo riempivano di gioia, così come gli odori ed i sapori di buona cucina che uscivano dalle case e si spandevano per l’aria delle strade e dei cortili.

Poi, man mano che trascorreva il tempo, queste sensazioni cominciarono a diventare usualità, caratteri cioè della nuova esistenza, segmenti di una vita passata che però si riproponevano nel presente, segnando lo scorrere della nuova quotidianità. Giuseppe aprì un negozietto di filatelia, per tenersi impegnato e per coltivare a livelli professionali il suo hobby preferito; ciò gli serviva anche per costruirsi una vita sociale interessante: si sa che i filatelici amano incontrarsi, discutere, scambiare i loro francobolli doppiati e non c’è luogo migliore di un negozio di filatelia in cui queste attività si possano fare con un certo successo. Il negozietto si trovava nel centro storico della città, vicino alle zone d’interesse turistico ed alle scuole più importanti. Giuseppe pensò bene, quindi, di creare nel negozio un angolo adibito a cartoleria ed uno scaffale di souvenir per turisti e forestieri di passaggio o in visita alla città.
Le cose cominciarono ad andare bene, tanto che, essendo il negozio frequentato dai filatelici, Giuseppe pensò bene di attrezzare un simpatico salottino che fu molto apprezzato dai collezionisti che ne fecero il loro consueto ritrovo al centro della città. La cartoleria andava a gonfie vele, per la vicinanza delle scuole. Anche i turisti che giravano per la città erano invitati ad entrare attirati dalle réclame fissate nell’ampia porta a vetri della bottega. Giuseppe, ben presto, assunse una commessa, una ragazza giovane e disponibile al lavoro, Maria, che divenne in poco tempo una collaboratrice preziosa per la gestione del negozio.

Il tempo della vita sembrava riprendere il colore roseo, con la cura della casa, la frequentazione di qualche vecchio amico di gioventù; anche un amore cominciò a prendere corpo: dapprima fu una relazione che sembrava poco impegnativa, poi divenne un guizzo nel sentimento, un guizzo ricambiato, a quanto pare, di quelli che ti fanno cominciare a programmare il futuro insieme alla persona amata.

Accadde  però, che in una giornata qualsiasi  ricomparve, con tutta la sua invadenza, il passato, con quel carico negativo, seppur mascherato di bello, che ognuno di noi vorrebbe evitare, ma esso attende silente, nel chiuso dei suoi tabernacoli, che si mettano insieme alcuni tasselli e poi  sbuca fuori  all’improvviso, voglioso di misurarsi con il malcapitato di turno che, inconsapevolmente, lo tiene seco e di cui  è l’esclusivo proprietario.

Una mattina, in negozio, entrò una signora, sulla cinquantina, ancora bella, i suoi abiti trasmettevano un senso di decoro, era decisamente elegante anche nel portamento. La signora chiese alla ragazza qualcosa in visione, articoli di cancelleria, dei quaderni, una riga, gomme da disegno, matite da disegno di varia gradazione, e alcune penne biro. Era insomma parte del corredo scolastico di qualche ragazzo, un figlio forse o un nipote. Giuseppe stava sistemando la vetrina, riordinando la merce esposta e occupato com’era, non fece molto caso all’ ingresso della nuova cliente. Ma, quando lei cominciò a parlare, ascoltandone la voce, iniziò ad emergere un certo interesse per la nuova venuta. «È Luisa, non c’è dubbio!» -  si disse tra sé e sé .«Si, è lei.» – confermò a sé stesso:  era l’amica del cuore dei venti anni, che poi fu la sua prima fidanzata, la persona che aveva segnato il periodo dorato della sua gioventù, il primo vero amore,  quella persona, allora ragazza, con cui aveva condiviso quella stagione particolarissima della vita, in cui sbocciano le sensazioni forti, il desiderio più acceso, l’ansia d’amore; periodo in cui sia il ragazzo che la ragazza, rivivono ogni giorno, con crescente intensità, le coordinate dell’amore, a cui si danno corpo ed anima. Giuseppe rivisse in quel momento, come in un veloce caleidoscopio, quel periodo e quel rapporto d’amore. Degli amori trascorsi  il sesso spesso  non si ricorda, ma lo stato di grazia dato dal sentimento e dalla passione si  e questo diventa la pista privilegiata del ricordo, insieme a quella beata astrazione dal mondo, che la natura, operosa a quell’età, dispensa ai giovani innamorati, con grande commiserazione delle famiglie, ma anche degli amici che forse, con una certa dose di benevola ipocrisia, non ricordano, o fanno finta di non ricordare i loro stati di grazia, presenti o trascorsi.
Gli sguardi di Luisa e di Giuseppe s’incontrarono, con differenti approssimazioni alle rispettive prese di coscienza di quell’incontro. Tante cose erano cambiate in quei trent’anni! A cominciare dai capelli grigi e vistosamente radi sopra la fronte di Giuseppe, coi suoi occhiali da vista che lo tormentavano, scivolando ad ogni piè sospinto sulla punta del naso, al portamento ormai non perfettamente eretto, impercettibilmente curvo, ma che lui stesso avvertiva nel tono non più giovanile della sua persona, seppur sembrasse più giovane dei sui cinquantasei anni. Anche Luisa, ripercorrendo velocemente la memoria, riconobbe Giuseppe. Si guardarono, osservandosi con più attenzione e si riscoprirono interlocutori di un discorso mai inconsciamente interrotto, ma sospeso, in una sorta di limbo, per le evenienze della vita, forse come la pausa d’accensione di una lampada, che fa affondare un ambiente nel buio per un certo periodo, ma che, se viene riaccesa da un successivo scatto, ricrea la luce, e con essa, la nitidezza dei contorni e delle forme. Infatti, nei loro occhi, una luce di disponibilità si accese; tutti e due si riconobbero, si salutarono con calore, si abbracciarono e si baciarono come possono fare due amici di lunga data, in cui l’incontro, anzi l’attimo del re-incontro, segna un colpo di spugna sulla lunga assenza intercorsa dall’ultimo lontano incontro. Lieta testimone dell’evento fu Maria, la giovane commessa, che chiese a Giuseppe, con una certa allegria, rivolgendo lo sguardo anche verso Luisa, se non fosse il caso di festeggiare l’avvenimento, prendendo qualcosa al bar accanto e, all’assenso dei due amici, si optò per delle granite caffè con panna e brioches, per fare colazione insieme e sugellare così il piacevole incontro.  I due continuavano a guardarsi con attenzione negli occhi, con Giuseppe che cingeva affettuosamente col suo braccio le spalle di Luisa. Maria uscì portando poco dopo le granite, si sedettero insieme nel salottino del negozio, consumando la colazione e parlandosi del tempo trascorso, con quella luce degli sguardi che contraddistingue un’amicizia ed una comunanza del sentire. Da quel giorno ricominciarono a vedersi con una certa frequenza. Luisa spesso passava dal negozio, entrava ed invitava Giuseppe al bar a prendere un caffè, si scambiavano impressioni su tutto. Sempre con quella riemergente familiarità e fiducia reciproca, si parlava dei vecchi loro amici comuni, delle vicende della vita, delle scelte fatte in campo sentimentale e famigliare, ma anche di politica e di cronaca cittadina. Nacque così un interesse nuovo nella vita di Giuseppe. Nacque un rapporto che profumava di vera amicizia, ma che era qualcosa in più di un’amicizia. Giuseppe sentiva di ritrovare una dimensione nuova, appagante, quasi un invitante completamento per una vita, la sua, degna di essere vissuta. La vicinanza, l’odore stesso di Luisa lo esaltava, nei due nacque l’indispensabilità dell’incontro, degli incontri che seppure casti, lasciavano una traccia indelebile nei loro quotidiani pensieri. Per Giuseppe e Luisa fu, a questo punto,  naturale trovare l’occasione di presentarsi i loro rispettivi compagni, vedersi quando fosse possibile la sera o nel tempo libero, scambiarsi le visite in casa, creando un microcosmo fatto di attenzioni, di gentilezza e rispetto reciproco, almeno così sembrava dalle manifestazioni di queste nuove amicizie, seppure ben presto dalla convergenza delle idee e delle discussioni, com’è naturale che avvenga, si passò al vero confronto delle idee, al manifestarsi delle diverse personalità di ognuno, e sebbene  per le due coppie  fosse sempre piacevole incontrarsi, nel confronto dei modi di vedere o sui giudizi su fatti particolari, talvolta gli animi si accendevano, per poi spegnersi nuovamente davanti ad un buon boccale di birra, in pizzeria. Un giorno però un fatto cambiò drasticamente la loro vita.
Luisa e Giuseppe erano divenuti l’asse portante della comitiva. Non ci voleva molto per capire la speciale intesa, inizialmente considerata con benevolenza dai rispettivi compagni, ma che ben presto cominciò a creare qualche problema, prima silente, velato dai sorrisi di sufficienza, ma poi, con l’andare del tempo, tollerato con un certo disagio. Ma più il tempo trascorreva, più l’intesa fra Giuseppe e Luisa diventava ingombrante, ben presto con accese discussioni, all’interno delle coppie, con il risultato immediato di interrompere gli incontri a quattro. Si determinò quindi una situazione di crisi delle due coppie e dei rapporti d’amicizia tra di loro. Quello che dapprima fu un puro sentimento d’amicizia disinteressata ed aperta alla vita, vissuta come comprensione dell’altro, nell’affinità del sentire comune, si trasformò nel più completo disamore e in un moto dunque di repulsione fra le coppie ed all’interno di esse.
Come un cielo azzurro che di colpo viene invaso dall’umido vento del Sud che innalza dalle acque del mare  le grigie nuvole e le ingravida della fine e giallognola polvere del deserto africano, il cielo delle coppie diventò grigio, in tutte le sue sfumature, fino a coprire il sole della serenità e dello stare insieme, anzi presto ci si accorse che non c’era più un valido motivo per stare insieme.
Luisa cominciò ad essere tormentata dal marito che, vivendo la fine del rapporto, divenne scostante al punto di dare libero sfogo all’impulsività sia verbale che fisica: più volte le esplosioni di gelosia, avvenivano anche fuori di casa, sotto gli occhi di vicini e passanti. Luisa, seppur angustiata dall’atteggiamento del marito, aveva in sé quella fiamma interiore dell’amore nascente che le faceva affrontare con serenità gli odiosi atteggiamenti del marito.
Un amore quindi era rinato, si era imposto ad ogni schema e ad ogni convenzione sociale, frantumava quei tenui ma rassicuranti legami affettivi che aveva trovato nel suo cammino.
Giuseppe accelerava il passo della sua vita, sentiva di andare oltre le aspettative che si era formato nel suo ritorno. Questa sensazione lo esaltava e lo riempiva di fiducia: la maturità non ostacolava il fantasma di Eros che lo invadeva al solo al pensiero di un incontro con Luisa.
La donna nel ricambiare passione e sentimento, sentiva di avere ricomposto un equilibrio vitale: quell’equilibrio e quel coraggio ad osare che solo l’amore pieno fra un uomo ed una donna sa dare. Stancamente si trascinavano i rispettivi rapporti famigliari e di coppia, avendo ormai la certezza di vivere un rapporto d’amore unico ed irripetibile. 
Luisa infatti non veniva più vista in compagnia del marito, i due vivevano come separati in casa. Giuseppe, da parte sua, si domandava se il sentimento che lui provava per Luisa, fosse solo una passione destinata a sfocarsi col trascorrere del tempo. La risposta però era sempre la stessa: lui amava Luisa e ne veniva ricambiato con uguale intensità. Le scelte da fare erano quindi ineludibili e non più rinviabili, bisognava aprire un capitolo nuovo nella loro vita. Questa determinazione, presente in ambedue gli amanti, infondeva loro la forza per andare avanti.

Un giorno però, la polizia, avvertita da una telefonata, trovò due persone senza vita, un uomo ed una donna, su un’auto in sosta in un luogo appartato.  Si accertò che si trattava di Giuseppe e Luisa. I quotidiani del giorno dopo riportarono la notizia dei due, seminudi, orrendamente intrecciati, con lo spasimo della morte stampato in viso, crivellati da numerosi colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata. Si aprirono le indagini, si stesero rapporti di polizia. Al marito di Luisa, fortemente indiziato, fu intimato di non lasciare la città.                                                        Qualche giorno dopo, all’alba, poco fuori del centro abitato, all’interno di un’automobile parcheggiata in un’area di sosta, fu scoperto un altro cadavere, quello di un uomo sulla cinquantina. Si accertò che si trattava del marito di Luisa, aveva deciso di togliersi la vita col gas di scarico dell’automobile, che, al momento del ritrovamento, era ancora col motore acceso.                         
La città, nel giro di alcuni giorni, dovette assistere a ben tre funerali di persone che si erano incontrate a causa di un ritorno e che furono costrette da quest’evento a sugellare con la morte il loro incontro.


"Un’oscura tristezza è in fondo a tutte le felicità umane,
come alla foce di tutti i fiumi è l’acqua amara."
(Gabriele D’Annunzio)

Antonio Cattino© opera inedita, maggio 2017.



Commenti

  1. Ho letto con attenzione il tuo racconto, Antonio, soffermandomi a tratti sulle accorte descrizioni che ne fanno immaginare scene e luoghi, per un attimo mi sono anche ritrovata in contesti a me famigliari, i viaggi, i rientri, gli stati d'animo a cui i cambiamenti inducono. L'improvvisa storia d'amore nata per una beffa del destino è quasi un colpo di scena in un'atmosfera ovattata e pacata, che spezza gli equilibri di un tranquillo paese, soprattutto con lo sviluppo drammatico finale, ma ne ho apprezzato l'esaltazione dei sentimenti, la forza dell'amore che non scende a compromessi e che non si ferma davanti a nulla. L'amore vero non può nascondersi né avere timore timore di esistere e purtroppo non dovrebbe pagare a caro prezzo la sua nascita, ma questa è la storia del lungo elenco dei crimini causa di femminicidi e di delitti legati alla fine di rapporti amorosi. L'uomo purtroppo non sa riconoscere la parola fine. Bravo Antonio, complimenti sinceri per il testo!

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    1. Grazie carissima amica, hai centrato perfettamente il mio intento, l'epilogo di questa storia, rappresenta un grido di dolore, per quello di ingiusto ed orribile che è stato perpetrato, da parte un uomo che non ha voluto prendere atto della fine di una storia, questi fatti, che appaiono ancora di sovente nelle cronache dei giornali, testimoniano l'immaturità affettiva di molti uomini, purtroppo. Un grido di dolore, ma anche un invito a prendere coscienza che occorre un cambiamento culturale nella società.

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