Passa ai contenuti principali

Giuseppe Mistretta, un poeta­­-narratore (e molto altro) in giro fra le parlate dialettali siciliane, cunti e miti di Sicilia.





Giuseppe Mistretta e La moglie Silvana




Giuseppe Mistretta
si propone con questa raccolta di Rime Siciliane come narratore poetico di una Sicilia profonda, facendo emergere con le sue composizioni, personaggi popolari, ambienti e situazioni simbolo della Sicilia. Personaggi  che via,via, sono veri o fiabeschi, religiosità intima o ostentata, per un lascito di antiche liturgie pagane con cui l’autore delinea una realtà etno-antropologica e “culturale” di una Sicilia che resiste alle tentazioni pseudo moderniste della globalizzazione, in un moto forse inconsapevole d’intima  resilenza nel rappresentare il prodotto di tremila anni di storia, in cui i Siciliani si sono dovuti confrontare con varie dominazioni e culture diverse, divenendo in una evoluzione quasi continua il popolo che sono. Essere siciliani è una condizione dello spirito dice lo scrittore Andrea Camilleri e provocatoriamente avverte: «Credo che noi Siciliani abbiamo l’intelligenza e la ricchezza dei bastardi, la loro vivacità ed arguzia».
  Si delinea dunque nell’opera poetica di Giuseppe Mistretta, quel grande teatro corale a cielo aperto, avvertito da eminenti scrittori e letterati come Luigi Pirandello, Verga o Wolfang Ghoete che visitò la Sicilia alla fine del XVIII secolo, annotando nel suo diario di viaggio:
«L'Italia, senza la Sicilia, non lascia nello spirito immagine alcuna. È in Sicilia che si trova la chiave di tutto».
   Rimanendo dunque nel solco della silloge di Mistretta, vediamo muovere i personaggi con notevole capacità interpretativa del ruolo assegnato dal narratore, come il “molaforbici e cuteddi”di “Mastru Mola,  che gira per i vicoli dei paesi offrendo con maniere colorite i suoi servigi ai paesani, ma  anche l’acquaiolo in L’acquarulu di Castrujiuvanni” che da umile portatore d’acqua potabile a domicilio, si eleva a nobile cavaliere, al cospetto di un’ingiustizia,  cioè di una povera vecchina, che viene comandata dal marito a prendere l’acqua alla fontana pubblica con una pesante giara; anche lui vecchio ma prepotente ed infingardo, preoccupato solo di godersi il suo riposo tra le mura domestiche e per questo comportamento,  niente affatto rispettoso verso la moglie, viene redarguito pesantemente dall’acquaiolo che col suo carretto, riporta a casa la vecchia donna con il suo pesante carico, facendola accomodare in cassetta e presentandola “come una nobili Marchisa”, dice al vecchio scansafatiche, dopo averlo rimproverato per il suo comportamento verso la moglie.
   La silloge si apre con un riferimento a Quasimodo con la lirica “ La casa di Quasimodo”, che al di là dell’episodio narrato: la visita di un gruppo di poeti alla casa natale di Salvatore Quasimodo a Modica, dimostra come Giuseppe Mistretta voglia dare un senso niente affatto banale a questa sua raccolta. Il riferimento al grande poeta siciliano, premio Nobel per la Poesia, acquista il significato
di un atto di dedica “alta” alla Poesia di Quasimodo da parte dell’autore.
   
Giuseppe Mistretta, valorizzando i dialetti siciliani usati per descrivere le sue storie, dà grande spazio al particolare sentimento religioso del popolo siciliano, che nel poemetto “Lu Sacru seporcru”, raggiunge alti gradi di lirismo e drammaticità:
…A Maria Vergini Addulurata, pinsatici,/ cunsulati a idda, curriti,/ anniata nnì un ciumi di sangu,/ sta murennu// comu a iddu comu a so’ figghiu/ ci pigghiaru lu cori./…
   La  figura della Madonna, ritorna nitida in Santa Maria della Visitazione, il poeta si pone in stato di commossa preghiera verso la Madonna, come rapito da un moto filiale di adorazione: “ …/ Campani picciriddi e ranni/ di tutti li chisi assimi/ntòninu prijeri,/ chi biddizza n’addiveni a li cristiani/ sèntili sunari e pinzari a idda.
    L’intensa religiosità  di Giuseppe Mistretta poeta, si avverte prepotentemente anche nelle poesie, Succurre Miseris”, dedicata alla Madonna patrona di Castellammare del Golfo e in “Pirdunatimi Cristu” .  
      Risaltano anche per la loro forza elegiaca e rievocativa, le poesie che l’autore dedica rispettivamente al nonno in  Don Peppino d’Alcamo” ed alla figura,  per certi aspetti leggendaria,  dell’ultimo rais della grande tonnara di Favignana, Gioacchino Cataldo, in L’ultimo Rais”. Al nonno, Don Peppino, che lui vede per l’ultima volta, da morto, raccomanda, con uno stupendo stacco lirico, di dare l’ultima carezza agli Angeli, e dirgli: «Perché per malasorte, a me non l’hai potuta dare :<La niàsti>»”.
      A Gioacchino Cataldo, il gigante buono e grande esperto della pesca del tonno e cultore della storia delle tonnare, nel finale della poesia, Giuseppe Mistretta dedica rime d’una spiccata bellezza poetica: …/ Cianciunu gabbiani mpassuluti/ a la tunnara aspettanu vulannu/ nta li scogghi, l’orma du Gianti.// Lu Rais d’unni è luntanu/ surridennu ‘nveci ci dissi stativi buni amici tutti para, ju’ attruvai la paci ‘ncilu.
     
Presentare una silloge, scrivere alcune note, una prefazione o una recensione, più o meno estesa o esaustiva, sono fatti importanti, perché conducono i lettori all’animo del Poeta, al suo sentire  ispirativo, alla sua spiritualità ed ai suoi valori. Mi ha colpito in alcuni passaggi,  per esempio la netta critica che Giuseppe Mistretta  fa dello sfruttamento dei lavoratori nelle campagne, inSulu Quattru Patruna” ed in altre liriche; si nota la sofferenza  del poeta davanti allo sfruttamento dei lavoratori; ma è sempre centrale il corpo vero delle poesie scritte dall’autore, che è la carne viva
dell’opera, ed è Poesia, quello scritto che ci commuove, che ci fa partecipi come lettori del travaglio del Poeta, del suo sentire, quando cioè quelle rime, le sentiamo nostre. La Poesia  di Giuseppe Mistretta, risponde a questa esigenza del lettore, in ogni composizione, c’è sempre un passo, una strofa in cui lui diventa bambino, sia per meraviglia davanti al paesaggio da favola, ammirando un angolo della Sicilia che lui ama molto, sia nelle poesie religiose rivolgendosi alla Madonna o a Cristo, con affetto filiale. La poesia di Giuseppe Mistretta, è concepita e scritta in manira non tradizionale rispetto alla tradizione poetica siciliana, e questo è un fatto positivo, lui fa parlare il verso sciolto, con largo uso di prosa poetica, proprio come un’antico narratore di cunti, forse c’è in lui l’ispirazione del teatro greco, poiché nei momenti topici vi è l’inserimento di strofe o versi lirici
di grande intensità, come se alla narrazione seguisse un coro, a sottolineare un inciso di carattere morale, facendo riscoprire il Giuseppe Mistretta autore teatrale,con le sue aritmicità, i tratti di meraviglia e di stupore davanti ai fatti della vita, sia umana che divina o i suoi cambi
di scena. Una poesia nei dialetti della Sicilia, quindi preservando nel lessico usato anche arcaismi,
cioè le parlate dei padri dei nonni e dei bisnonni, con cui l’autore riscatta il pegno col Quasimodo della prima poesia della silloge e con il suo grande amore per la Sicilia.
In conclusione, con “Rime Siciliane” Giuseppe Mistretta credo voglia concludere un ciclo poetico
e ripartire nel solco dei grandi poeti siciliani del passato anche prossimo, Antonio Veneziano , Giovanni Meli, Nino Martoglio, Tommaso Cannizzaro, lo stesso Luigi Pirandello, per fare alcuni nomi. Il riferimento al ricercatore di tradizioni e musiche popolari Francesco Paolo Frontini, a cui significativamente dedica una poesia, è sintomatico di questo proponimento: passato, presente e futuro nell’onda virtuosa della poesia, della letteratura e della musica siciliane, che fa cultura e che fa sperare coi suoi messaggi positivi, verso questa terra di Sicilia, per il futuro delle giovani generazioni. Ad Maiora… È quindi l’augurio che formulo a Giuseppe Mistretta per la sua multiforme esperienza artistica.

Antonio Cattino,  19 febbraio 2019.

Commenti