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Maria Virginia Fabroni: Poetessa,Donna, Patriota romagnola del secolo XIX - di Antonio Cattino

Maria Virginia Fabroni - Ritratta dal pittore Silvestro Lega






Maria Virginia Fabroni giovane poetessa romantica e risorgimentale della profonda Romagna, anzitempo deceduta all’età di ventisette anni per tisi (Tredozio 2 dicembre 1851--10-agosto-1878)
 isiHo aderito con piacere all’invito degli amici di Tredozio, piccolo paese della Romagna, in provincia di Forlì-Cesena , al confine con la Toscana, di scrivere, per il mio Blog, un articolo sulla poetessa Maria Virginia Fabroni, loro concittadina. Perché l’ho fatto? Non certamente per sobbarcarmi accademicamente ad una fatica di ricerca e verifica sull’opera di una poetessa caduta immeritatamente nell’oblio,   ma per il semplice fatto che  la sua storia, riproposta, da alcuni anni, da un gruppo di intellettuali tredoziesi e meritoriamente dal Comune di Tredozio, m’interessò subito: quella giovane, quasi ragazza, poeta naturale – si direbbe -, che nei pochi anni di vita, nel profondo ‘800, pubblica numerose raccolte poetiche, contravvenendo ai pregiudizi borghesi del tempo che assegnavano alla donna un ruolo di subalternità, quasi di soggezione all’uomo, mi commosse davvero molto. Ho anche accettato volentieri, perché mi piace soffermarmi sulle piccole comunità umane, i piccoli paesi, i borghi dove i rapporti umani sono ancora genuini e dove vive una umanità che conforma di sé gran parte del sentire del popolo italiano.
   È noto peraltro che le comunità umane, siano esse piccoli borghi o città organizzate, più o meno estese, tendono sempre a ricercare un’anima nella loro storia che costituisca il Genius Loci della comunità, il nume tutelare, il campione culturale, il simbolo o i simboli che possano divenire punto di riferimento per la loro specificità storico sociale. 
A Tredozio, hanno quindi scelto Maria Virginia Fabroni che, con la sua breve storia di giovane donna, patriota e poeta, è diventata il simbolo di un paese che vuole rilanciare la sua immagine e la sua peculiarità virtuosa nell’Italia democratica delle autonomie e dei Comuni, guardando al futuro europeo, ma coi piedi ben saldi nella sua storia.
    Il Paese di Tredozio ( Le tre donazioni), adagiato nella valle percorsa dal torrente Tramazzo, è circondata da boscose colline,  propaggini del grande Parco Nazionale Foreste Casentinesi: tanto da configurarsi come un vero e proprio luogo dell’anima per un poeta.
    Fu in quest’ambiente che germogliò la fanciullezza di Maria Virginia fino al 1862, quando la fanciulla lasciò Tredozio per essere iscritta dal padre, il medico Giuseppe Fabroni, al rinomato Conservatorio S. Anna di Pisa, dove, in regime residenziale, nel 1868, conseguì il diploma di clavicembalo. Negli anni di permanenza a Pisa, la giovane cominciò a scoprire e coltivare la sua vera passione, la Poesia e la Letteratura in genere. Quindi, seppur brava e promettente nello studio del clavicembalo e della musica, affiancò privatamente un intenso studio della poesia, studiando i grandi poeti del passato: Dante, il Dolce Stil Novo, Petrarca, Tasso, ma anche i poeti a lei più vicini: Leopardi, Manzoni, Foscolo, Parini, la cui poetica rafforzò il suo patriottismo risorgimentale. Fu guidata altresì dal Cavaliere Paolo Folini, presidente della struttura collegiale, che positivamente colpito dalla sua bravura poetica, cercò di agevolarla in questi suoi studi, dandole consigli e suggerimenti di cui la giovane fece tesoro, rimanendo a lui legata, anche dopo il suo rientro a Tredozio, attraverso un fitto interessantissimo, scambio epistolare.
     Nel 1869 pubblicò la raccolta di poesie scritte in gran parte durante la sua permanenza al Conservatorio con il titolo Ricordo, che dedicò in segno di riconoscenza al Cav. Paolo Folini. Seguirono poi: Nuovi Versi nel 1870; Versi nel 1872; Per Nozze Morelli-Pera, 1873; Virtù ed Affetti. Prose e Poesie, 1874; Bozzetti Famigliari, 1877.
     Fare poesia per Maria Virginia Fabroni diventa dunque il mezzo per affermare la propria autonomia in un contesto famigliare oppressivo ed a cui resiste, contrastando la volontà del padre che avrebbe voluto farla sposare con un uomo che non ama, essendo innamorata di un giovane, inviso al padre: riuscirà a spuntarla, imponendo l’ufficializzazione del fidanzamento e la fissazione della data delle nozze, che non furono celebrate dacché tre mesi prima di quella data la poetessa, consumata dal mal sottile, cessò di vivere, il 10 agosto 1878.
    La lotta contro la volontà del padre costò enormi sacrifici a Maria Virginia, che dovette sottostare a tutta una serie di limitazioni della libertà personale. Il che la apparenta con altre poetesse del secolo XIX ed in particolare con la poetessa siciliana di Noto Mariannina Coffa a cui pure fu imposto un matrimonio d’interesse: del resto, nella produzione poetica delle due donne emergono identici sentimenti di affermazione e difesa del ruolo della donna nella famiglia e nella società, nonché la stessa aspirazione ad una patria comune per tutti gli Italiani, che si realizzò nel 1861 e fu completata dalla presa di Roma del 1870. 
L’adesione agli ideali risorgimentali di Maria Virginia è attestata dal carteggio epistolare con il letterato Niccolò Tommaseo, fervente patriota cattolico e con la poetessa Giannina Milli, accesa sostenitrice dell’Unità d’Italia, a ragione soprannominata «la Saffo Abbruzzese». Va pure ricordata, in questo contesto, la corrispondenza col musicista siciliano di Palermo, Errico Petrella (poco ricordato nella sua città ed in Sicilia), che compose la musica del melodramma in quattro atti, I Promessi Sposi, ispirato dal romanzo omonimo di Alessandro Manzoni, su libretto di Emilio Ghislanzoni, autore del libretto dell’Aida di Giuseppe Verdi.
   Alcune di queste lettere sono conservate nel Fondo Piancastelli di Forli presso la biblioteca Aurelio Saffi di quella città. 
La poetessa intrattenne una lunga ed affettuosa amicizia con il noto pittore macchiaiolo Silvestro Lega che la ritrasse più volte, e con cui scambiò una cospicua corrispondenza.
Maria Virginia scrisse inoltre alcune liriche di chiara ispirazione risorgimentale, come A Italia e Tre fiori colti sulla rocca di Solferino. Nella prima, scritta nel 1872, chiari sono i riverberi dei suoi studi manzoniani e leopardiani, insieme con un acceso patriottismo, inteso come perorazione di una Patria comune, anche a costo del  sacrificio eroico fino alla morte:

Morir per te/ per renderti più bella/ libera ed ognipossente,/questi per anni molti/ furo i cotanti voti/ di magnanima gente/ confida al brillar  de la tua stella,/ con arcigni_volti…/

    Nella parte conclusiva  dell’ ode, la poetessa esprime un grande dolore per il clima di violenza che si è ingenerato nel Paese, a causa dei rigurgiti antiunitari, alle vendette, alle uccisioni, alle bande armate che, fingendo di lottare per la libertà, vorrebbero frenare, con la violenza, il processo unitario, spesso facendo riferimento ai vecchi poteri statuali sconfitti dai moti risorgimentali, dalle tre guerre d’indipendenza e dall’impresa dei Mille:

      “Spezza la punta del pugnale ascoso,/ che in man di genti abiette,/ tremendo, misterioso,/ di libertà nel nome, aspre vendette/  compie nell’ombra delle tue contrade./ Questo non è disio/ di pace né di gloria/ che muove a conculcar Cesare e Dio,/ questa è vergogna della nostra etade/ che inesorata narrerà la storia!/ Sopra le stragi mai,/ Italia, il raggio del tuo sol non splenda…/

     Nella lirica  Tre fiori colti sulla rocca di Solferino, Maria Virginia indugia sul  ricordo dei combattenti italiani morti per la Patria nella cruenta battaglia di Solferino e San Martino del 26 giugno 1859, raccogliendo un cimelio di fiori sopra le sepolture dei caduti:

      “Sono ricordo di una sacra terra/ che bevve il sangue, ed il cener ha serbato,/ di quel che spense una tremenda guerra/ come la falce che pareggia il_prato.

      Maria Virginia Fabroni è però poetessa dalle accese passioni e dai forti sentimenti  che non tradisce attraverso facili scorciatoie. A chi le chiede se lei “ama o scriva”, ella risponde di getto nella poesia Scrive e non ama:

“Ella scrive ed oblia/ molto, oblia quasi tutto in seno all’arte;/ il fior che manca sulla scabra via/ lo fa spuntare sulle aride carte./ Forse amerà – quel core/ non sia superbo, né volgar, né vile;/ sia nobile: l’amore/ tanto è più dolce quanto è più gentile,/ ella brama la pace: sprezza gli inerti ed i meschini spirti:/ ammira un’alma audace/ che coglie lauri, non viole o mirti…  /.”

     Nella lirica Saffo allo scoglio, Maria Virginia ripercorre la versione del mito di Faone rielaborata da Ovidio, rievocando la disperazione di Saffo che si getta in mare da un alto scoglio dell’isola di Leucade per il suo amore non corrisposto, con accenti autobiografici, a mio avviso. Nel verso di commiato: “Addio Patria, addio luna, selve addio…” , risuona vagamente l’incipit de L’addio ai monti dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.
                
     Questo mi è venuto di scrivere su questa poetessa romantica, che visse brevemente la sua vita nella seconda metà dell’800. Ringrazio per l’opportunità offertami dagli amici di Tredozio ed in particolare il dott. Lorenzo Bosi, segretario del premio di Poesia intitolato a Maria Virginia Fabroni, giunto oggi alla terza edizione. 
Mi piace altresì ricordare che ogni anno a Tredozio si svolge, con il Patrocinio del Comune, il Festival della Poesia che diventa punto di riferimento dei poeti e degli artisti dei paesi e delle città vicine e non solo ed in cui risuona sempre il nome e l’opera della poetessa Tredoziese.

      Va pure detto che sulla personalità di Maria Virginia ha scritto, all’inizio del Novecento, l’abate Giovanni Mini, il quale ricordava che la poetessa ammirò Giacomo Leopardi, esaltandone, in un’ode a lui dedicata, l’opera e l’ingegno letterario, filosofico e poetico, ma rimproverandogli lo scetticismo religioso e l’accesa negazione dell’esistenza di Dio. Il Mini nello stesso articolo, riporta una poesia scritta dalla Fabroni negli ultimi mesi di vita in onore della Madonna, che lei invocava con fervore all’avvicinarsi della morte, sopraggiunta il 10 agosto 1878, a tre mesi della data fissata per il matrimonio con il giovane che amava: aveva appena ventisette anni.

       Scrisse per lei anche Eugenio Cappelli nel giornale quotidiano «Il Ponte di Pisa», commentando due sue poesie: Tredozio, in cui si ritesse la leggenda della fondazione del paese, e Un saluto a Pisa, scritta da Maria Virginia dopo essere ritornata a Tredozio, avendo terminato gli studi al Conservatorio di quella città.
        Si può affermare, in conclusione, che Maria Virginia visse la vita e le contraddizioni del suo tempo, mettendo il meglio di sé in ogni sua opera ed in ogni suo atto: nel criticare, in ispecie, la condizione della donna imposta dai pregiudizi borghesi del tempo, anticipò le lotte novecentesche di liberazione della donna stessa, offrendo, a costo di enormi sacrifici, un notevole contributo al superamento di questa arcaica, ingiusta disuguaglianza.


Vorrei infine, ricordare Maria Virginia Fabroni, anche con le parole di Giuseppe Rando, professore ordinario di Letteratura Italiana nell’Università di Messina, critico letterario, che ho pregato di esprimere un breve giudizio di ordine generale su l’opera della poetessa romagnola: 

«Due dati colpiscono immediatamente, nella vicenda umana di Maria Virginia Fabroni: I) la renitenza al padre che, secondo un costume radicato nella provincia italiana e non solo, avrebbe voluto accasarla con un “buon partito”, ignorando i suoi sentimenti d’amore verso un giovane del luogo (in ciò, miracolosamente simile, peraltro, a Compiuta Donzella, la prima poetessa, in assoluto, della letteratura italiana che, nella prima metà del XIII secolo, forse prima di Dante Alighieri, compose una collana di tre sonetti  attraversati da una risentita polemica contro il padre, colpevole ai suoi occhi  di volerla dare in isposa a un uomo ch’ella non amava); II) la sua convinta perorazione del valore assoluto dell’Italia Unita contro tutti i reazionari che allora, come ancora oggi purtroppo, contestavano l’Unità (realizzata nel 1861), l’impresa dei Mille, l’apostolato mazziniano e la politica lungimirante di Cavour, in nome di una presunta libertà conculcata dai Savoia (in realtà, a favore di gretti, reazionari  interessi filoborbonici): questa sua scelta politica, non molto comune nel panorama letterario del suo tempo,  la colloca, invero, in una posizione storicamente innovativa, degna di essere studiata»(GiuseppeRando).


AntonioCattino©Maggio_2019 
Si ringrazia il prof Giuseppe Rando per l’apporto e la disponibilità manifestata.


Commenti

  1. Ringrazio di cuore per questo articolo a nome del concorso di Poesia Maria Virginia Fabroni e dell'amministrazione comunale di Tredozio

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