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LINGUA SICILIANA di ENRICO CALTAGIRONE (glottologo)


Aree interessate dalla lingua siciliana - immagine UNESCO.


Il prof. Enrico Caltagirone, da anni impegnato nelle ricerche sull'antica lingua dei siculi, ha voluto gentilmente inviare al mio blog questo piccolo ma importante contributo in cui spiega con precisione, come la parlata dei siciliani debba avere la denominazione di "Lingua Siciliana" e non quella  di dialetto o peggio ancora di vernacolo
Ringrazio il professore Caltagirone e consegno alla vostra attenzione questo documento.

Antonio Cattino




Parlo di “Lingua siciliana”, non di dialetto o di vernacolo. Il “dialetto” connota un idioma minore, rispetto alla lingua, il “vernacolo” una forma ancora più dimessa. Pertanto invito formalmente coloro che, volendosi riferire al “siciliano”, usano le parole “dialetto” e “vernacolo” a non farlo più. Per spiegare questa scelta cercherò di argomentarne i motivi, nell’intento di sfatare luoghi comuni e affermazioni errate. Qualche anno fa, nel maggio del 2013, fui invitato al “Congresso linguistico italiano”, a rappresentare la Sicilia. L’incontro, intitolato “Le parlate d’Italia”, avvenne nella prestigiosa sede milanese della Casa del Manzoni, in Via Morone. In quella circostanza ho spiegato chiaramente i motivi della scelta di “Lingua siciliana” e non di dialetto o vernacolo. Anche l’Unesco ha avallato la formulazione di “Lingua madre”, desiderata e auspicata da molti ricercatori siciliani. L’Unesco ha stabilito che “Siciliano” e “Napoletano” devono essere considerati “lingue madri” e non dialetti dell’italiano. Ma, paradossalmente, mentre l’Unesco considera questi idiomi dell’Italia meridionale “lingue”, lo stato italiano no. Ogni commento è superfluo!


***

Tra i poeti contemporanei che hanno scritto in siciliano, Ignazio Buttitta, scomparso nel 1997, è il più noto, sia in Sicilia che nel resto d’Italia. Nella sua lirica più famosa, Lingua e dialettu, implora i siciliani di conservare come un bene prezioso la propria lingua:


Un populu mettitilu a catina, spugghiatilu,
attuppatici a vucca, è ancora libiru.
Livatici u travagghiu, u passaportu,, a tavula
Unni mancia, u lettu unni dormi, è ancora riccu.
Un populu diventa poviru e servu quannu ci arrubbanu
A lingua aduttata di patri: è persu pi sempri.



Esiste oggi, fortunatamente, un vasto movimento di siciliani che scrivono in “Lingua siciliana”.  Si tratta di scrittori, di poeti e di ricercatori che meritano ogni elogio, e un caloroso invito a continuare.


La Lingua Siciliana: origini e influssi


I diversi popoli, che negli ultimi 3000 anni si sono susseguiti, più o meno pacificamente, alla dominazione della nostra terra, hanno lasciato un’impronta indelebile nella lingua e nella cultura siciliana. Un’analisi sull'origine della lingua siciliana ne rivela la sua unicità e la sua natura multiculturale. Qui di seguito solo alcuni esempi di parole che ci hanno lasciato in eredità i popoli giunti nelle varie epoche in Sicilia, ma l’elenco è molto lungo.




L’influsso dei Siculi (1270 a.C. – 400 circa a.C.)


I Siculi parlavano una lingua indoaria, che possiamo definire proto-indoeuropea. Nelle iscrizioni sicule si possono trovare parole tipicamente proto-indoeuropee, radici attestate in sanscrito, alcune delle quali sopravvivono nella parlata siciliana. Alcuni esempi:

taliari, dalla radice, tal, guardare;
lupara, da lup, morire;
mattanza, da maha, grande e tan, uccidere (grande uccisione);
prescia, da presha, premura;
ammuccari, da muck, bocca;
putra, da putra, figlia (anche di animali);
camiare, da kam, piacere;
nica, da nica, piccolo;
priarisi, da pri, gratificarsi;
alluzzari, da look, vedere;
vara, da vara, spazio protetto;
sbaddu, da svadha, piacere;
ambu, da ambu, acqua…..   (esistono moltissime parole ancora in uso di origine sanscrita).

Ho potuto constatare che la pronuncia delle parole appresa nell’infanzia trascorsa in Sicilia, pronuncia che non si dimentica più, è presente identica nel sanscrito. È il caso di matri, madre; patri, signore, protettore; pítri, padre; cummari, ragazza; putra, figlia, giovane animale; trí, tre... Nel caso di tri, matri, patri, pítri e putra, sopravvive nel siciliano identica la pronuncia della t e della r cerebrali sanscrite. Sopravvive nel siciliano anche la d cerebrale sanscrita, per esempio in cavaddu, cutieddu, ecc. Dal punto di vista puramente linguistico, questa è senza dubbio una circostanza che non può essere ignorata.


L'influsso greco (735-254 a. C.)

I Greci lasciarono un'impronta indelebile nella nostra parlata. Molte sono, infatti, le espressioni di origine greca che vengono ancora usate, nella nostra parlata, come ad esempio:

cirasa, ciliegia,  greco, kérasos;
casèntaru,  lombrico,  greco, ges enteron'; (lett. intestino della terra)]
cuddura, forma di pane, greco, kollira;
'ntamatu, sbalordito, greco, thauma';
babbiari, scherzare, greco, babazo;
allippatu, unto d'olio, sporco, greco, lipos;
Inoltre molti nomi di città come Trapani, greco, drepano, Palermo, greco, pan ormos.


L'influsso latino (254 a.C – 410 d.C.)

Nell’anno 254 a.C. i romani occuparono la Sicilia e vi rimasero per più di 600 anni, fino al 410 dopo Cristo. Il latino non ebbe vita facile in Sicilia, perché al latino si preferiva il greco, ritenuta lingua più dotta. Comunque, con l'andar del tempo si incominciò a parlare anche il latino. Oltre alle espressioni di origine latina che si riscontrano nella lingua italiana, il siciliano conserva alcune espressioni latine, che non si riscontrano nell'italiano, come:

antura, poco fa, latino, ante horam;
oggiallannu, l'anno scorso, latino, hodie est annus;
bifara, una specie di fico, latino, bifer;
muscaloru, ventaglio per le mosche, latino, muscarium;
grasciu, grasso, sporco, latino, crassus.

L'influsso dei Barbari, (410 - 535 d.C.)  non ebbe conseguenze dal punto di vista della lingua. Durante la loro occupazione si continuò a parlare e a scrivere in latino e greco.
L'influsso bizantino,  (535 – 827 d.C.) servì a far riemergere la lingua greca, che rimase la lingua predominante per i successivi tre secoli.

L'influsso arabo (827 – 1064 d.C)

Nell’827 d.C., la Sicilia fu presa di mira, invasa e conquistata dagli Arabi, i quali rimasero sull’isola per circa 3 secoli. Furono loro ad introdurre in Sicilia sistemi di irrigazione, piantagioni di limoni, arance, pistacchi, meloni, papiro, ecc. Molte espressioni nel campo agricolo ed alimentare, nell’amministrazione e nella toponomastica derivano dall'arabo:

babaluci, lumaca, arabo, babaluci;
cafisu, cafiso, misura d'olio, arabo, qafiz;
cùscusu , pasta per la minestra, arabo, kouskousu;
dammusu, abitazione, arabo, damús;
gebbia, vasca d'acqua, arabo, dijeb;
giuggiulena, semi di sesamo, arabo, giulgiulan;
sciarriarisi, litigare, arabo, sciarr.
Testimoniano la lunga presenza degli Arabi anche molti nomi di città, come Caltagirone, Caltabellota, Calatabiano, Calatafimi con l'elemento arabo "qalah" o "qalet" (castello), e Misilmeri (castello dell'emiro), arabo: manzil al-amir.

L'influsso normanno (1064 – 1195)

La dominazione araba ebbe termine nell'anno 1064. Ruggero I invase la Sicilia ed ebbe ragione degli Arabi, che non andavano più d'accordo tra di loro. Con i Normanni giunsero in Sicilia i trovatori, che tanta importanza rivestirono dal punto di vista linguistico, ed entrarono nella parlata siciliana molte espressioni franco-provenzali, come:

muntuari, nominare, francese, mentaure;
burgisi, possidente, borghese, francese, borgés;
picciottu, giovanotto, francese, puchot;
muntata, salita, francese, montade.



L'influsso degli Svevi (1195 – 1250)

Alla morte dell’ultimo re normanno, la corona di Sicilia passò a Costanza, moglie del re Enrico di Hohenstauffen. Fino all'avvento di Federico II, alcuni baroni tedeschi comandarono la Sicilia per quasi vent'anni. Quantunque breve, questo periodo lasciò qualche impronta di tedesco nel siciliano:

arrancari, muoversi con affanno, tedesco rank , gotico wranks;
vastedda, pane rotondo, tedesco wastel;
sparagnari, risparmiare, tedesco sparen.




L'influsso degli Angioini (1266 – 1282)

Alla morte di Federico II (1250 dopo Cristo) seguì un periodo caotico. Per 11 anni la corona passò al figlio del re d'Inghilterra, Edmondo di Lancaster, che fu poi destituito dal nuovo papa francese che affidò il regno a Carlo di Anjou, fratello del re di Francia. Sebbene di breve durata (1266 fino al 1282), il periodo angioino fece consolidare la parlata francese, che diede al siciliano espressioni come:

Ammucciari, nascondere, francese mucer;
custureri, sarto, francese costurier;
scippu, furto, francese chiper;
runfuliari, russare, francese ronfler;
travagghiari, lavorare, francese travaille;
vucceri, macellaio, francese boucher.


L'influsso spagnolo e catalano

La dominazione francese cessò a causa di una rivolta popolare (i Vespri Siciliani del 1282). Carlo d’Anjou fu cacciato, ma la Sicilia rimase comunque in balia di un altro “straniero”, Pietro D'Aragona. Gli spagnoli governarono la Sicilia per quasi 500 anni.
Abbuccari, cadere, capovolgere, spagnolo, abocar;
curtigghiu, cortile, spagnolo, cortijo;
lastima, lamento, affanno, spagnolo, làstima;
pignata, pentola, spagnolo, piñada;
scupetta, fucile da caccia,  spagnolo, escopeta;
zita, fidanzata, spagnolo, cita (appuntamento):
sgarrari, sbagliare, catalano, esgarrar;
nzirtari, indovinare, catalano, encertar.

Questa integrazione (25 marzo 2018),  si è resa necessaria giacché alcuni “illuminati” si ostinano a confondere il SICULO col SICILIANO. La lingua dei Siculi (parlata nel territorio italiano dal 1800 circa a.C. fino al 300 circa a.C.) era una lingua di origine orientale, una lingua proto-indoeuropea portata a occidente dalle varie ondate migratorie (vedi Marija Gimbutas, C. Renfrew, A. e S. Sherrat, H. Dannenbauer, M e KV. Zvelebil, Editta Castaldi, ecc.). Era una lingua perfettamente indiana. Nel primo tegolo di Adrano si può leggere DVI HITI MRUKESH AIS UIE (Per i due morti qui deposti invoca Dio). Nel secondo tegolo di Adrano si legge RE SESAN IRES (Concedi ai resti di risorgere). Ripeto, si tratta di una lingua perfettamente indiana, parola per parola. Tutte le parole di tutte le iscrizioni sicule sono sanscrite, senza alcun dubbio! Ricordo che in sanscrito le cerebrali sono pronunciate come tr, d, n cerebrali o cacuminali invertite del siciliano, ossia sollevando la punta della lingua verso il palato; per esempio in cavaddu, gaddu, cutieddu, sangu, ecc. Una pronuncia del genere, così specifica, i Siciliani non potevano certo inventarsela dal nulla, è naturale pensare alla lingua madre che la possiede, cioè al Veda e al sanscrito.

Diverso è il discorso per quanto riguarda il SICILIANO. Al sostrato antichissimo costituito dalla lingua dei Siculi, si sono nei secoli aggiunti vocaboli e modi di dire di altre lingue. Pertanto il siculo non ha l’esclusività della lingua siciliana ma ne costituisce la base (spero che questo sia chiaro per tutti). I diversi popoli, che negli ultimi 3000 anni si sono susseguiti, più o meno pacificamente, alla dominazione della nostra terra, hanno lasciato un’impronta indelebile nella lingua e nella cultura siciliana. Bisogna che tutti abbiano chiaro il significato di lingua, per evitare che sorgano malintesi. Una “lingua” ha bisogno di regole e di un comune sentire. In Lombardia potreste incontrare un Bergamasco che parla il suo dialetto, un Mantovano che parla il suo dialetto e uno di Sondrio che parla il suo dialetto. Se parlassero fra di loro, ognuno nel proprio dialetto, farebbero fatica a capirsi, perché non parlano la stessa “lingua”. Ma se questi tre personaggi parlassero in italiano, si capirebbero benissimo, perché l’italiano è una lingua che ha delle regole precise e un comune sentire per tutti gli italiani. Bisogna fare lo stesso discorso per la “Lingua siciliana”. Se vogliamo che il “Siciliano” sia veramente una lingua deve avere delle regole e un comune sentire per tutti i Siciliani. Non possiamo scrivere in messinese, o agrigentino, o ennese, o in trapanese, o in catanese o palermitano, perché sarebbe scrivere nel dialetto di Messina o di Agrigento (come ad esempio si ostina a fare Camilleri) o di Catania, ecc., e non in “Lingua siciliana”. La faccenda è ancora più grave quando si ricorre al fonografismo, scrivendo “cose” illeggibili e improponibili, scimmiottando i vari Tamburello e Di Giovanni. La Sicilia è stata nei secoli abitata da genti di lingua e cultura molto diverse, ed è inevitabile che in alcune zone sia rimasta qualche traccia di tali popoli e delle loro lingue, anche nel modo di pronunciare le consonanti palatali, le liquide, le sonore e le sorde. Es.: morta= motta, moita; bambino= picciriddu, picciliddru; ecc. Serve dunque una convergenza e una conformità che porti ad una lingua letterale comprensibile a tutti nella scrittura. Del resto, come qualcuno dei più attenti ha già osservato, dal dopoguerra si è andato formando e consolidando un siciliano letterario scritto che affonda le radici nel latino, con ortografia e sintassi omogenee. Se vogliamo davvero una “Lingua siciliana”, dobbiamo rinunciare a qualcosa delle peculiarità dei dialetti locali, che in Sicilia sono almeno 200.

Conclusione

La lingua siciliana, come risulta chiaramente da questa dissertazione, poggia le sue basi su un sostrato proto-indoeuropeo introdotto nell’isola dai Siculi. Su quelle antiche basi si è innestata nel tempo la lingua greca, dando vita a comunità di parlanti “sicelioti”. Bisogna ricordare che il greco è una lingua indoeuropea, e la lingua parlata dalle avanguardie greche non era così dissimile dal siculo. La dominazione romana non cambiò questo stato di cose per molti secoli, giacché si continuò a parlare una lingua greca frammista a siculo. Tutte le dominazioni successive hanno contribuito a creare un idioma unico al mondo. La “Lingua siciliana” ha dunque delle nobili origini e da ciò bisogna partire se vogliamo difendere e affermare la nostra identità. Vorrei rivolgere un invito accorato alle autorità scolastiche e politiche siciliane, affinché si impegnino a rivalutare, curare, difendere e divulgare questo patrimonio multiculturale, unico al mondo. Il processo della rinascita siciliana, a cui stanno lavorando schiere di ricercatori, di linguisti, di poeti, deve passare anche attraverso la rivalutazione della nostra storia, della nostra cultura e della nostra lingua.
Enrico Caltagirone




Commenti

  1. Per fortuna un po di verità... Troppi "filosofi" mettono i Siculi al centro del mondo. È chiaro che i siciliani sono il risultato di tutte le culture che sono passate sull isola,ed è la nostra ricchezza,per fortuna,abbiamo un DNA sorprendente.

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